lunedì 18 agosto 2008

Meno 25, meno 50. Ma anche Obaluaiê e Caymmi

Ciao gente,

ormai tra meno di un mese (-25) arrivo in Italia per il mio primo periodo di "ferie". Mi sembra l'ora di tentare un paio di scarnissime, provvisorissime, considerazioni.

Partiamo dal dato che ha stupito i più: i -50 chili che la bilancia - con suo grande sollievo immagino - segna quando vi salgo sopra ora rispetto a quanto segnava quando sono arrivato qui.

Al di là di tutte le pur legittime considerazioni di carattere estetico e salutistico (dopo tutto sono passato da gravemente obeso a normopeso o, se prefereite, mi sono levato una persona di dosso) in realtà è l'esito quasi naturale di un cambiamento radicale di vita. Ciò che sottolineo più volentieri invece è che i chili, tutto sommato, sono ciò che di me ho lasciato più facilmente venendo qui: il lavoro di spogliamento del mio ormai vecchio modo di fare e di vedere è molto più difficile e lento del dimagrimento, anche se quest'ultimo ne diventa un segno abbastanza eloquente.

Continuo a pensare che un mestiere che periodicamente offre l'opportunità di rimettersi in gioco, di rinnovarsi, di sperimentare nuovi modi di essere e di vivere, di immergersi in realtà così diverse, anche di durare questo tipo di fatica - e detto da un pigro come me è tutto dire! - sia un gran bel mestiere, al di lá di tutto.



Domani vado a Itapoã nella casa della Diocesi a fare gli esercizi spirituali. Solo che lì invece del verde di Lecceto ci sono l'oceano, la spiaggia bianca e i cocchi. Me ne farò una ragione.

Oggi alla prima riconvocazione dei giovani dopo l'incontro del mese scorso sono riapparsi in 14. Poteva andar peggio. Sembrano motivati. Vedremo. Per ora sono passati dall'intezione di vedersi una volta al mese a quella di vedersi tutte le settimane. Moni Ovadia scrive che, secondo la cabala, si racconta che il mondo in cui viviamo sia il risultato del ventottesimo tentativo di Dio e che, contemplando l’ultima forma della sua creazione, l’Eterno abbia sospirato e mormorato sconfortato: “Halevaii she yaamod!” (Speriamo che tenga!).
Si parva licet, riprendo l'auspicio.



Ieri, San Rocco. La memoria santo solitario e pellegrino che si faceva vicino agli ammalati di peste per curarli, anche prodigiosamente, e che sperimentò la malattia in prima persona, da queste parti è l'occasione per dar culto a un orixá, ufficialmente sincretizzato con San Lazzaro, ma insomma anche San Rocco un po' gli assomiglia...

Mi rifaccio a un libretto in italiano regalatomi prima di partire dagli amici con cui ho condiviso l'avventura di Sarajevo (Rosamaria Susanna Barbàra, Il Candomblé, Xenia, 2003):

Obaluaiê, il re, padrone della terra, e Omolu, il figlio del signore, sono i nomi con cui è conosciuto in Brasile questo orixá che non si nomina volentieri perché come può curare le malattie e le epidemie, così le può causare.


Obaluaiê, insieme a Nanã Boruku e Oxumarê, sembra sia una divinità antica, lo si deduce da un dettaglio del rito: gli animali vengono sacrificati senza utilizzare lame di ferro, come si faceva prima del culto di Ogum (dio del ferro, tra le altre cose, appunto).

Il suo carattere fu segnato per sempre dal fatto che la madre lo abbandonò quando era ancora in fasce. Racconta il mito che Obaluaiê nacque coperto interamente dalle piaghe del vaiolo. La madre, spaventata e disgustata, non volle allevarlo e lo gettò in mare in una cesta.

Il bambino piangeva, ma nessuno poteva udirlo. Solo Iemanjá (dea del mare) si accorse dell'accaduto e commossa da quel pianto lo prese con se. Lo curò con le alghe del mare e ben presto il bambino si riprese diventando forte e bello. Un giorno però un amico invidioso raccontò al dio quanto era accaduto al momento della nascita.

Obaluaiê, che si offendeva facilmente, ferito e umiliato dall'accaduto, fuggì in mezzo al bosco e si ricoprì di paglia affinché nessuno potesse vederlo più. Ogni tanto la paglia si solleva per una folata di vento e appare il dio in tutta la sua bellezza.

In occasione delle celebrazioni in suo onore i devoti del Candomblé vengono purificati dalle sacerdotesse vestite di bianco con una pioggia di pipoca, pop corn, che viene lasciata scorrere sul corpo per allontanare le malattie e gli influssi negativi.

L'archetipo dei figli di Obaluaiê è quello delle persone masochistiche, che vogliono mettere in evidenza la loro sofferenza e tristezza. Sono sempre insoddisfatte della vita, anche se tranquilla e serena. Possono però arrivare a consacrarsi al benessere di un'altra persona a cui tengono molto e dimenticare i propri bisogni vitali. Quando però riconoscono i propri poteri, diventano grandi guaritori e persone molto umane.


Sempre ieri un lutto ha scosso la Bahia. A Rio de Janeiro è morto il più grande cantore della Bahia, il compositore e cantante Dorival Caymmi, amato e venerato dall'altro grande bahiano, Jorge Amado, che ci ha lasciato nel 2001.


Nato a Salvador il 30 aprile 1914 era bisnipote di un italiano venuto in Brasile per lavorare al ripristino dell'Elevador Lacerda, un simbolo della città (l'ascensore a sinistra nella foto).


Vi risparmio i dettagli sulla vita. La cosa più importante è che, trasferitosi a Rio de Janeiro, divenne il cantore della saudade (una nostalgia che ti immalinconisce) della Bahia (es. Samba da minha terra, reso celebre da João Gilberto), della bellezza delle bahiane (es. O que é que a bahiana tem, cantato dalla immensa Carmen Miranda), del panorama, dello stile di vita bahiano, la spiaggia, la tragedia dei neri e dei pescatori della Bahia, il tutto con una leggerezza e una dolcezza ineguagliata. Al telegiornale dicevano che nella Bahia ci sono tre ritmi: lento, molto lento e Dorival Caymmi. Alcuni lo accusano di aver diffuso un'immagine un po' "cartolina" della Bahia, tutta esotismo, ma senz'altro l'ha saputo fare.

Suo ultimo successo, mi pare, è Oração de Mãe Menininha, omaggio alla più grande Mãe de Santo di sempre, cantata da quei due monumenti viventi della musica bahiana che si chiamano Gal Costa e Maria Bethânia.

A Rio e a Salvador le autorità cittadine hanno decretato tre giorni di lutto. Anch'io sono un po' triste.


Quando torno dal ritiro comincio i preparativi per la visita italiana. Sono arrivati i primi inviti e conseguentemente ho iniziato a prendermi i primi impegni. Chi mi conosce sa che non mi piace fare il prezioso, ma anche che non mi piace né cancellare impegni presi in precedenza né piombare dove non sono invitato. Farò un'eccezione a questa regola per il Gruppo Alpini di San Piero, dove mi autoinvito a cena venerdì 18 settembre (salvo diversi loro impegni, naturalmente). Silvia, glielo dici tu a Silvano?


Bene, vi lascio. Salvo ispirazioni improvvise e trascinanti penso che questa sarà l'ultima circolare prima delle ferie.

Questa volta le foto sono tutte scaricate da internet.

Un abbraccio a tutti.

Fate i bravi. Luca

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